Quanto costa davvero aprire un franchising? Costi nascosti, ritorni, tempi

Aprire un’attività in franchising è una scelta sempre più popolare tra chi desidera fare impresa partendo da un modello già collaudato. Ma se l’idea del “format pronto” affascina, la domanda concreta resta una: quanto costa davvero aprire un franchising? La risposta non è unica, ma esistono parametri chiari da conoscere per evitare brutte sorprese. E, soprattutto, per capire se il gioco vale la candela.

Costi iniziali: quota d’ingresso, locali, burocrazia

Tutto parte dalla quota d’ingresso, ovvero la cifra che il franchisee paga per accedere al marchio, al know-how, al pacchetto operativo. Può variare molto: da poche migliaia di euro (5.000–10.000 €) fino a cifre superiori ai 50.000 €, a seconda del settore e della notorietà del brand.

A questa voce vanno aggiunti i costi legati ai locali: affitto o acquisto, eventuali ristrutturazioni secondo lo standard del franchisor, arredi, insegne, impianti. Anche in questo caso, le cifre sono variabili ma incidono in modo significativo sul capitale iniziale.

Infine, ci sono gli oneri burocratici: apertura della partita IVA, SCIA, licenze specifiche, consulenze tecniche e legali. Spese obbligatorie, ma spesso sottostimate.

Costi ricorrenti: royalty, materiali, supporti

Una volta aperta l’attività, i costi non finiscono. Anzi, iniziano i canoni ricorrenti, come:

• Royalty sul fatturato (fisse o percentuali), che possono incidere dal 3% al 10% mensile.
• Contributi marketing, per le campagne nazionali o locali gestite dal franchisor.
• Acquisto vincolato di materiali, prodotti o servizi tramite il circuito del brand.

A ciò si aggiungono eventuali aggiornamenti software, formazione continua e assistenza tecnica, che in alcuni casi sono gratuiti, in altri a pagamento.

Rientro dell’investimento: stime per settori diversi

Il ritorno dell’investimento (ROI) dipende da numerosi fattori: settore, location, capacità gestionale, stagionalità, concorrenza.

• Nei servizi digitali o multiservizi si può rientrare dell’investimento iniziale in 12–24 mesi.
• Nel food & beverage i tempi si allungano: spesso tra i 24 e i 36 mesi.
• Nei franchising retail tradizionali, con stock fisico, si può arrivare a 48 mesi.

Va sempre considerato che un modello testato riduce l’incertezza, ma non garantisce risultati immediati.

Voci di costo spesso trascurate

Ci sono spese che non compaiono nei business plan iniziali ma che fanno la differenza:

Personale: se previsto, va assunto sin da subito. Retribuzioni, contributi, formazione interna.
Assicurazioni: spesso obbligatorie, ma raramente conteggiate in fase iniziale.
• Obsolescenza tecnologica: terminali, software, dispositivi, con ricambi e aggiornamenti ciclici.
• Costi di inattività: apertura posticipata, attese burocratiche, prime settimane sottotono.

Includerle nella stima iniziale aiuta a evitare stress finanziario e a ragionare in termini realistici.

Come valutare la sostenibilità nel tempo

Non basta sapere quanto costa iniziare. Occorre chiedersi: il modello è sostenibile nel medio-lungo periodo? Per capirlo, è utile analizzare:

• La marginalità reale al netto di tutte le spese (royalty, canoni, costi vivi).
• L’andamento storico del network, il tasso di chiusura e la tenuta economica dei punti vendita.
• La flessibilità del format in caso di cambiamenti di mercato o di esigenze personali.

Un franchising sano non promette scorciatoie, ma offre strumenti per navigare nel tempo. L’equilibrio tra investimento, ritorno e supporto ricevuto è ciò che fa la differenza tra un’attività duratura e un entusiasmo breve.

Hai già raccolto numeri, ma ti mancano le domande giuste da farti? Spesso la vera sostenibilità non è nei costi iniziali, ma nella capacità del modello di crescere con te.

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